“L’organizzazione non è altro come il complesso delle modalità secondo le quali viene effettuata la divisione del lavoro”, questo è quanto affermava Henry Mintzberg, uno dei maggiori studiosi di organizzazione.

Mintzberg sosteneva che i meccanismi di coordinamento erano il fattore più delicato, complesso e difficile da gestire per ogni organizzazione.

Ogni attività umana organizzata fa nascere due esigenze fondamentali e opposte: la divisione del lavoro e il coordinamento delle risorse.

Il primo approccio che si applica intuitivamente e spontaneamente  come meccanismo di coordinamento è il controllo diretto.

Il controllo diretto in azienda può essere svolto sia in forma di leadership carismatica o nel classico accentramento di potere.

Il controllo diretto è pratico e funzionale in società o organizzazioni piccole e restituisce un pieno controllo dell’azienda.

Le cose cominciano a complicarsi quando l’organizzazione si espande e in proporzione anche il numero dei controllori cresce formando fisiologicamente in azienda, un organigramma con una struttura piramidale enorme.

A questo punto cominciano i problemi seri, ovvero:

difficoltà comunicative, incomprensioni su compiti e responsabilità, interpretazioni sbagliate delle direttive, sprechi di ogni tipo.

Il controllo diretto da soluzione diventa il problema.

 

Perché pensare di cambiare l’organizzazione?

Cambiare l’organizzazione non significa appendere un nuovo organigramma nella bacheca aziendale. 

Come già detto all’inizio dell’articolo, cambiare organizzazione significa riprogrammare la divisione del lavoro, quindi decentralizzare il potere e le responsabilità ma anche l’autonomia.

Il controllo diretto è basato sull’accentramento decisionale e l’esperienza ci insegna che l’efficienza si ottiene soltanto attraverso il decentramento decisionale.

La strategia vincente per raggiungere efficienza ed efficacia è quella di spostare le decisioni al piano operativo, ma questo semplice concetto è in perfetta contraddizione con i paradigmi del comando e del controllo.

Personalmente sono stato attratto dal fenomeno delle start up, un fenomeno economico che anche in Italia ha raggiunto dei buoni livelli e ha coinvolto molte regioni nella costruzione di incubatori sostenuti da università e aziende all’avanguardia.

In particolare gli incubatori che mi hanno incuriosito di più, sono quelli di Campani e Pugliesi che a differenza di quelli milanesi tendono di più alla praticità e alla risoluzione di un problema che alla pubblicità o all’acquisizione da parte di una grande azienda, del proprio prodotto o servizio.

Vi parlo in questo articolo di start up perché dopo i fantomatici step che vanno dall’idea alla realizzazione si realizza il bisogno di “organizzarsi” o “strutturarsi”.

In questo nodo cruciale molti startupper, non per loro colpa, perdono di vista quanto ci siamo detti finora e ampliano l’organizzazione credendo che sia solo un organigramma destrutturano le modalità decisionali.

Tutto questo a discapito del business.

La start up fino a quel momento ha funzionato perché le decisioni erano vicino all’operatività, in sintesi capita spesso che i giovani che pensano all’innovativo prodotto o servizio siano gli esecutori e sopratutto con processi “agili” cercano di migliorare la loro prima versione in base ai feedback dei primi utilizzatori.

 

Ecco il punto.

Quando in un’azienda c’è la possibilità di espandersi e conseguentemente organizzarsi con una struttura forte ma agile bisogna pensare prima se si è pronti a decentralizzare le decisioni portandole al livello più operativo possibile.

Un’organizzazione che merita, secondo me, di essere annoverata tra le più efficienti è quella con la presenza di business unit, ma magari sarà l’argomento di un nuovo articolo.